Reboani: «La materia della modernità»
“Must have”, la personale di Marcello Reboani ospite della galleria La Nuvola di Roma, sta riscontrando uno straordinario successo. La critica, il pubblico e i collezionisti hanno accolto l’artista romano con tanto affetto che il finissage, posticipato di venti giorni, è previsto intorno al 20 febbraio. Reboani, che poco ama parlare di sé, ha concesso ad Inside Art un’esclusiva intervista in cui racconta della sua vita, della sua arte e dei progetti futuri.
Con “Must have” hai proposto al pubblico monumenti alle icone di lusso dell’ultimo secolo realizzati con materiale di recupero. Il tuo è un intento “ambientalista” o semplicemente l’uso di un mezzo per realizzare al meglio la tua poetica?
«Di certo da parte mia c’è un manifesto interesse nei confronti della natura, oltre alla voglia di sensibilizzare l’uditorio verso certi temi, primo tra tutti il rispetto dell’ambiente. Tutto questo è ben celato dietro l’operazione di rivalutazione di materiali “poveri”, così che resti appannaggio di chi non si ferma all’apparenza».
Tra borsette firmate, bevande cult e farmaci trovano posto anche i tuoi planetari. Questi sono influenza dell’arte povera di Alighiero Boetti o per te rappresentano qualcosa di preciso?
«Sicuramente c’è l’influenza di Boetti ma anche di Mario Ceroli e di tutti gli artisti che si sono confrontati con questo tipo d’immagine. Fanno parte anche del mio trascorso personale: sono un omaggio alle carte nautiche dei miei viaggi in barca a vela. Nei mesi di navigazione nell’Oceano Indiano ho maneggiato fascinose carte segnate da rotte e numeretti. Inoltre si può notare che i miei planisferi non hanno alcuna distinzione politica o fisica: non mi piace racchiudere entro margini gli stati, che vorrei invece fossero rappresentati come liberi e indistinti. Sono convinto che tra pochi decenni nel mondo faremo tutti parte di una stessa razza, a cosa serve delimitare i confini?».
Nasci in una stagione artisticamente feconda, in cui ti sei confrontato con grandi nomi, tra cui Toti Scialoja, Mario Schifano, Mario Ceroli, Pino Pascali. Hai mai avuto un rapporto di scambio e d’influenza con qualche artista in particolare?
«Il rapporto di amicizia che mi ha legato e che mi lega a Mario Ceroli ha fatto sì che all’inizio della mia produzione l’influenza della sua arte si riflettesse nelle mie opere, e anche se ci siamo occupati di linguaggi diversi il comune denominatore è il legno. Il legno è il primo materiale con cui gli artisti materici si trovano a confrontarsi per la sua massima duttilità, e per me l’approccio agli altri materiali è stato un passaggio successivo».
Com’è avvenuta l’evoluzione dalle pittura di grandi tele a olio alla realizzazione degli “assemblage” che ti distinguono oggi nella scena artistica italiana?
«È stato un passaggio molto naturale e dai grandi oli mi sono ritrovato prima a dipingere il legno, poi a tagliarlo e infine ad assemblarlo. Il contatto con grandi pannelli di legno è comunque precoce nella mia vicenda: mi sono laureato all’Accademia delle Belle srti in scenografia e i miei primi lavori pubblici sono stati le scenografie dei fondali per il concerto del Primo maggio di Roma quando la regia era affidata a Cesare Pierleoni. In quelle occasioni facevo una sorta di “street art”: grandi graffiti ogni volta diversi per l’artista che saliva sul palco. Non tornerei indietro, non lascerei mai più il piacere della manipolazione della materia, anche se non mi dispiacerebbe, in un futuro, organizzare una personale dei miei oli».
I tuoi ritratti sono realizzati con una tecnica molto particolare che li rende essenziali e di grande impatto emozionale: puoi chiarire il processo tecnico della loro produzione?
«Dalla fotografia prendo i tratti principali del viso dei soggetti ed elimino tutto ciò che ritengo superfluo. I materiali variano ogni volta, anche in base alla libertà che il committente mi lascia. Quando posso sbizzarrirmi mi capita di utilizzare elementi inconsueti, come ad esempio per il ritratto di Steve Jobs, realizzato con bottoni, bulloni e oggetti con cui ho voluto omaggiare la sua modernità».
Quali sono i progetti per il futuro?
«Parlando con Melissa Proietti, curatrice di ogni mia esposizione e instancabile collaboratrice, è balzata fuori l’idea di una mostra dei progetti cartacei dei “Must have”, i disegni preparatori alla base delle opere materiche e dei loro bozzetti. E in un futuro prossimo ci piacerebbe realizzare qualcosa di ancora più ambizioso: una personale di ritratti materici delle venti donne più carismatiche del nostro secolo».